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Beatrice Bianchini
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PADRE PIO ( ‘104) Venezia 79

beatrice bianchini
Pubblicato da in 2022 ·
Giornate degli autori
di Abel Ferrara
con Shia LaBeouf, Cristina Chriac, Marco Leonardi, Asia Argento.

Prendi posizione.
La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima.
Il silenzio incoraggia sempre il torturatore, non il torturato.
(Elie Wiesel)

San Giovanni Rotondo, fine della Grande Guerra; le donne attendono i
loro uomini, alcuni tornano malati, mutilati, altri non torneranno mai.
La povertà costringe a lavorare in condizioni di schiavitù mentre i
proprietari terrieri detengono il potere economico e politico.
Parallelamente a questa realtà, in un austero convento di cappuccini,
Padre Pio inizia il suo ministero, con il famoso piglio austero,
conflittuale e misterioso. Assorbito completamente da visioni mistiche
e diaboliche si accompagna a confronti con i propri turbamenti, sensi
di colpa, ossessioni, fissazioni, deliri, inquietudini
tra il disumano e il divino.
La campagna elettorale che precede le prime elezioni libere in Italia,
promossa da i pochi che hanno avuto la fortuna di misurarsi con
l’alfabetizzazione cavalca le condizioni di estrema miseria dei
braccianti agricoli, delle loro condizioni di lavoro e di vita.
Sulle pareti un ritratto di Marx, si parla di rivoluzione citando Lenin e
Trotsky mentre i possidenti del paese si esercitano alla controffensiva
facendo benedire le armi dagli ecclesiastici conniventi.
Finita la prima guerra mondiale la guerra sociale, economica e politica
è appena iniziata e Abel Ferrara rappresenta un evento pressoché
sconosciuto: il massacro del 14 ottobre 1920 a San Giovanni Rotondo,
la strage più violenta del biennio rosso in Italia, in cui rimasero ferite
60 persone e morirono tredici socialisti e un carabiniere.
Il regista, che non riconosce a Padre Pio, troppo impegnato ad
occuparsi della sua “anima”, alcuna reale partecipazione al blocco o
fascio d’ordine degli Arditi di Cristo, seguaci del frate, riconosce
tuttavia la responsabilità della borghesia della Capitanata e della forza
pubblica che si mosse con l’intento di reprimere il movimento
socialista nelle aree in cui era maggiormente radicato e sottolinea la
necessità di far conoscere a fondo le radici del fascismo, insieme al
ricordo di quei pionieri della democrazia massacrati da un potere
reazionario e dispotico.
Il binario assolutamente parallelo della conduzione registica di Abel
Ferrara, tra la vita del paese e quella monastica del frate , mai
intersecantisi, se non per questioni strettamente
geografico/temporali, indica con decisione la necessità di presentare
le due storie esattamente come due rette che per dirsi parallele
devono appartenere a uno stesso piano e non devono
avere alcun punto in comune.
L’intento è quello di mostrare un mondo esterno, quello del paese,
disperato, tragico e conflittuale e un mondo interno, quello del frate,
narcisistico, schizofrenico e tormentato.
Dalla ferocia della realtà alla psicopatologia della “verità”.
Il bambino viziato di cui lo accusa il suo alter ego conscio di aver
voluto codardamente evitare la guerra attraverso licenze multiple; la
salute cagionevole, le violente crisi fisiche e spirituali, i deliri, gli
episodi di ipertermia e di bilocazione, nonché l’aggressione dei
demoni che lasciano segni sulla sua martoriata carne, il tormento e la
battaglia quotidiana con il maligno, disegnano la vita del Pio
cappuccino, conosciuto e rappresentato abilmente da Abel Ferrara,
mentre fuori dal convento la guerra sociale si fa violenta e spietata.
Ma quanto la non responsabilità diretta al massacro, come in questo
caso, sia effettivamente un alternativo j’accuse nei confronti di un
uomo ritenuto da molti feroce, violento e tormentato e concentrato
solo su se stesso?
D’altronde la fede cos’è se non “paradosso e scandalo” come insegna
Kierkegaard? E la vita di Pio si è stata contraddistinta per azioni e
eventi incredibili e sconcertanti, scabrosi e esagerati.
Per il frate il peccatore è chi ha dubbi e per questo va cacciato, per il
potere il nemico è chi mette in discussione lo status quo e per
questo va condannato.
La schizofrenia del potere politico/economico/ecclesiastico è
l’imposizione della scissione tra chi presume di possedere l’ultima
parola e chi pretenderebbe di metterla in discussione.
La miscredente maestria del regista concede il beneficio del dubbio
alla responsabilità diretta sui fatti ma non concede alcuna assoluzione
all’uomo di pulpito di altare e di confessione, disegnandolo
paranoicamente e egoisticamente riverso su sé stesso, condannato dal
proprio patologico narcisismo.
Esserci significa esserci coi fatti.

Le parole, spesso, sono il modo più certo per essere altrove.
(Filippo Alosi)



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