di Hilal Baydarov
La mente ama l’ignoto, ama le immagini il cui significato è ignoto, poiché il significato della mente stessa è sconosciuto.
( René Magritte)
Davud vive con la madre malata, esce infastidito dalla convivenza e
inizia
un percorso di ricerca: l’amore, il significato, la vita.
Uccide un uomo che ha insultato la sua amica e un dottore che
osserva
inattivo chiede a tre ragazzi di inseguirlo e catturarlo.
Arriveranno dopo che avrà incontrato una ragazza affetta dalla rabbia
che
uccide il padre abusante mordendolo sul collo; dopo che avrà
incontrato una
donna picchiata dal marito alcolista; dopo che darà un
passaggio ad una sposa in
fuga da un matrimonio combinato.
Un viaggio di nozze spirituale fra le nebbie delle foreste
arzebaijane si
completerà con il suicidio della sposa paga di aver
conosciuto finalmente
l’insperato senso dell’amore.
Ogni volta si compie un omicidio-suicidio, il lavaggio del corpo di
una
donna viva prima della sepoltura e l’incontro con chi aspetta ma
non riconosce l’amore.
Il ritorno a casa. La morte della madre.
Dopo la trilogia sulla famiglia, Baydarov fugge e ritorna nella casa materna
percorrendo stazioni di morte e di rinascita.
La ricerca del significato, dell’amore, del dolore, della pietà,
dello spazio che
non c’è e del tempo silenzioso e solitario della
nebbia.
L’ontologia della domanda inesauribile, l’introspezione filosofica
sulla mancanza,
l’attesa, il caso, tuttavia intriso di sacralità
metafisica.
La vita come ricerca: assenza desolazione, rassegnazione, passione
gestite in un linguaggio
artistico autoriale, marcato, strutturato,
assolutamente riconoscibile,
con tratti da istallazione d’arte
contemporanea, su paesaggi asfissianti,
polverosi e desolanti, seppur
estremamente poetici e visionari.
Una rara lezione di quell’arte che ha un solo scopo: non riprodurre il visibile ma renderlo visibile.