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Beatrice Bianchini
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VICE. L’uomo nell’ombra (‘132) (2018)

beatrice bianchini
Pubblicato da in 2018 ·
di Adam McKay

con Christian Bale, Amy Adams, Steve Carrell, Sam Rockwell


Non si può conoscere veramente la natura e il carattere di un uomo fino a che non lo si vede gestire il potere.
( Sofocle)
Lynne riesce a far entrare all’Università il suo indolente fidanzato Dick, il quale più che studiare finisce per farsi espellere a causa dell’alcool. Inizia a lavorare come operaio ma verrà arrestato per rissa e guida in stato di ebbrezza.
Lynne, che proietta su di lui il talento che lei, in quanto donna, non può esercitare, gli dà un ultimatum, quello di diventare un uomo di potere. Non ci sono alternative e lui non può rinunciare.
La scalata da operaio a presidente de facto degli Stati Uniti, inizierà con la fragorosa risata dello spavaldo e cinico mentore Donald Rumsfeld difronte alla ingenua domando di Dick: “ Noi, in cosa crediamo?”
Un incipit che indica inequivocabilmente il fine del potere, giustificare qualunque mezzo per raggiungerlo e mantenerlo.
La figura di Lynne Vincent, con la sua spregiudicata ambizione, determinerà la scalata al potere di Dick anche difronte al coming out della figlia.
Un duro colpo per una famiglia repubblicana ultraconservatrice ritrovarsi con un figlia lesbica da gestire rispetto ai ricatti della politica e della stampa.
Ma una famiglia così votata al potere non esiterà ad aggirare l’ostacolo neanche quando l’altra figlia Liz si candiderà per il Wyoming. Accusata di non essere abbastanza conservatrice si schiererà contro il matrimonio gay.
Un racconto che riesce ad attraversare magistralmente il vissuto pubblico e privato di un uomo toccando continuamente le corde tematiche universali.
Il regista de La grande Scommessa riesce di nuovo a raccontare una storia complicatissima in modo sarcastico a tratti surreale, iniettando umorismo attraverso argomenti seri, consentendo l’elaborazione di tematiche complicate e facilitando una comprensione fruibile a tutti.
La figura di George Bush che necessita del burattinaio Cheney è una vera e propria finezza cinematografica, soprattutto laddove neanche Colin Powell era d’accordo con la politica in Iraq e nonostante questo non esitò a apparire davanti al Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti per presentare le prove che l’Iraq stesse nascondendo armi di distruzione di massa, solo per giustificare l’attacco. L’attenta sceneggiatura del film sottolinea che il potere non esita a ricorrere a quella forma di sorveglianza ancora più sottile che è il controllo del pensiero, delle idee: lo studio dei gruppi di riflessione, l’indagine sull’opinione pubblica per scoprire che le persone non sanno cos’è Al Qaeda quindi occorre offrire loro un luogo da attaccare.
Ancora più interessante è il focus su come avviene il controllo delle idee di tutti coloro che sono subordinati al potere e quindi su come si determina il demagogico applauso: spiare il cittadino e sapere ciò che pensa significa dargli ciò che vuole, pertanto concedergli l’illusione che il potere sta facendo proprio ciò che si vuole e si desidera. La costruzione del consenso e il grottesco menù del giorno presentato ad una cena tra potenti da un esperto cameriere caratterizzano la vera prodezza cinematografica di McKay.
Pertanto l’ingenua iniziale domanda di Dick diventa il mantra simbolico del film: “noi in cosa crediamo?”
Il gioco della sintonia di una famiglia dove i “valori” sembrano convergere perfettamente si scontra con la dualità dell’amore da un lato e dell’ambizione dall’altro.
Un film labirintico, impegnativo, tragicamente realistico e sorprendentemente inquietante.
Un’eccellente opera di intrattenimento strutturata per suscitare punti di domanda, spunti di riflessione di assoluta intensità.
Sebbene possa sembrare evidente che raccontare la storia di Dick Cheney focalizzi l’attenzione sul concetto di potere, qui tuttavia il focus non è il potere ma l’etica.
Proprio la domanda che suscita la sarcastica risata di Ramsfeld in realtà racchiude il senso di una scelta di fondo che riecheggia durante tutto il film: in base a quale scelta di fondo agiamo?
UBI MAIOR MINOR CESSAT: se difronte a ciò che viene ritenuto maggiore il minore decade, qui il potere vince sull’etica che dovrebbe incarnare l’ubi maior.
D’altronde in una realtà radicalmente capitalistica il potere fine a sé stesso non può che vincere su qualunque etica della responsabilità e su qualunque rispetto della Res Pubblica.
Un imperdibile film sull’etica del potere: se la responsabilità viene affidata al “responso” tecnico, dove è sotteso l’imperativo che si “deve” fare tutto ciò che si “può” fare…
“nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole”

(Pier Paolo Pasolini)




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