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Beatrice Bianchini
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SUNSET (Napszállta – Tramonto) (‘142) (2018)

beatrice bianchini
Pubblicato da in 2018 ·
di László Nemes
con Juli Jakab, Vlad Ivanov
Budapest 1913

Irisz Leiter, una elegante giovane signora con cappello, arriva nella città ungherese da Trieste.
Cerca lavoro come modista nel negozio Leiter, ex proprietà dei genitori morti durante un incendio. Il prestigioso nome è tutto quello che è rimasto della famiglia, sebbene presto Irisz apprende, da enigmatici messaggeri, di avere un fratello sconosciuto e intraprende per questo una interminabile ricerca.
Il nuovo proprietario, l’ambiguo Oszkar Brill, insieme alla moglie, non la vogliono assumere,ma lei, nonostante l’ostilità riuscirà a convincerli a farla lavorare per loro.
Da qui inizierà una inarrestabile, coinvolgente, misteriosa, catena di eventi che intrappoleranno la giovane donna in un vortice di accadimenti equivoci e incomprensibili.
E mentre un gruppo di ribelli di ignota provenienza esercita il terrore in città, il fratello Kalman assume le sembianze di un oscuro personaggio, una presenza che incombe e contemporaneamente scompare proprio mentre alla sorella sembra di incontrarlo.
Il prestigioso, storico negozio Leiter sembra ormai la copertura di infidi e ambigui segreti che nascondono un colossale imbroglio.
Irisz vive e rincorre una realtà allucinata e surreale, pericolosa e indecifrabile; una sorta di rappresentazione virtuale di ciò che sta per accadere: la disgregazione politica e sociale dell’impero autro-ungarico.
Il delirio di Irisz, che non sa dove andare e non riesce a comprendere come uscire dal labirinto nel quale si trova, sembra rappresentare l’ineluttabilità di un destino profeticamente intuito ma inconsapevolmente vissuto.
Le relazioni internazionali ottocentesche prevedevano che le alleanze fossero di norma segrete ( non erano di dominio pubblico le clausole dettagliate dei trattati) e contrattate bilateralmente, talvolta con l’aggiunta di un terza potenza; nonostante le reti di spionaggio esistenti, risultava difficile, per una qualsiasi cancelleria, avere il quadro esatto della situazione.
L’atelier Leiter, è la scenografia del teatro di queste relazioni e la situazione che vive Irisz sembra il presagio della trasformazione di un evento marginale e locale nella miccia di un conflitto generale.
L’Austria era stata resa grande solo durante il periodo degli Asburgo, ovvero in quel lasso di tempo storico che intercorre i secoli che vanno tra la metà del XVI secolo fino alla prima metà del XIX secolo. Il motto della dinastia era :” Austriae est imperare orbi universo” e se spettava all’Austria regnare sul mondo, Lazslo Nemes anticipa la sceneggiatura che avrà come colonna sonora il requiem del Finis Austriae.
Un paese che aveva perso le ambizioni politiche concentrandosi sulla supremazia artistica dei movimenti e delle correnti della cultura europea. Di lì erano passati gli immortali sette astri della musica – Gluck, Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Brahms, Strauss. A corte, tra i ranghi dell’aristocrazia e in seno al popolo al sangue tedesco si univano quello slavo, ungherese, spagnolo, italiano, francese e fiammingo.
L’Austria era riuscita a fondere armonicamente questi contrasti in una nuova e peculiare realtà, quella dello spirito austriaco, della “viennesità”.
Come racconta lo storico Giuseppe Baiocchi, era un’impero quello austro-ungarico multi-etnico, multi-confessionale e multiculturale retto con grande saggezza e Vienna era una città che univa e mitigava le provenienze e le culture più disparate offrendo ai cittadini un’educazione cosmopolita e internazionale.
Questo consente la comprensione del ritmo ossessivo, incalzante e claustrofobico interpretato egregiamente dalla Irisz/Vienna di Nemes che incede senza comprendere: la fine verso la quale sta per incorrere.
La corsa verso la morte di un’epoca al crepuscolo che lo scrittore Hugo von Hofmannsthal da Rodaun annota così nel 1912 “la nostra vecchia Austria è assediata da ombre nere e da torbidi presagi… all’interno metà indolenza e metà incoscienza, e problemi ormai troppo aggrovigliati, troppi nodi gordiani. Noi andiamo verso un tempo di tenebre. Ognuno, dentro di sé, lo sente. Noi possiamo perdere tutto da un momento all’altro. E quello ch’è più grave, anche vincendo in realtà, non conquistiamo nulla se non problemi e perplessità”.
Non poteva rappresentare meglio questi sentimenti Nemes, attraverso questo capolavoro sul Finis Austriae e lo fa usando l’iconografia dei cupi accenni alla morte di Klimt e di Egon Schiele, le espressioni artistiche dello Jugendstil, la capacità narrativa delle atmosfere di Arthur Schnitzler.
Centoquarantadue minuti di tensione, spossante quasi quanto la visione del Figlio di Saul, una trappola dalla quale risulta impossibile volersi liberare. Una gabbia artistico estetica di grande consapevolezza stilistica, frustrante e ipnotica, generosa e esigente. Nessuno spazio è concesso alla disattenzione e all’intrattenimento disimpegnato.
Un’opera sofisticatissima, senza concessioni interpretative, nella quale si fonde il rapporto di assoluta complementarietà di bios e thanatos, convogliato dalla malinconia di ciò che si sta per perdere e l’angoscia per l’ineluttabilità enigmatica degli eventi: una mutilazione narrativa che non esita ad amputare qualunque semplificazione per incastrare lo spettatore in una visione altrimenti indecifrabile.



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Ideato e realizzato da Sandro Alongi
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