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Beatrice Bianchini
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SORRY WE MISSED YOU (‘100)

beatrice bianchini
Pubblicato da in 2019 ·
con Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor, Ross Brewster
Abby discute con il marito che vuole vendere l’auto con la quale si reca al lavoro:
Ricky vuole convincerla a comprare a rate un furgone con il quale iniziare a fare
consegne.
Abby deve spostarsi continuamente durante la sua giornata lavorativa presso le
abitazioni di anziani, disabili psichici e mentali, dei quali deve prendersi
materialmente cura; ma dedicare a ciascuno circa due/tre ore al giorno le richiede
un lavoro effettivo estenuante sia psicologicamente che fisicamente, oltre gli
spostamenti, e il tempo che le rimane da dedicare alla famiglia è ridotto all’osso.
Hanno due figli Ricky e Abby: Liza Jane una giovane e brillante ragazzina che
assiste ai crescenti problemi della famiglia messa a dura prova anche dal
comportamento del fratello adolescente Seb, che reagisce alla situazione creandosi
un mondo tutto suo dal quale esclude quasi definitivamente la scuola.
Ma la discesa agli inferi del lavoro dettato dai tempi, dalla tecnologia e dal delirio di
un mercato che ha perso il controllo è quello iniziato da Ricky il quale intraprende
la “carriera” dello sfruttamento contemporaneo per “eccellenza”: quello del
corriere a domicilio.
Il primo colloquio con il responsabile risulta immediatamente raggirante: “tu non
lavorerai per noi Ricky ma CON noi” e questo evidentemente vorrà dire che sarà un
lavoratore apparentemente autonomo nelle spese, ma completamente dipendente
dalla scaletta delle consegne, dai tempi della consegna, da quello strumento
infernale che lo perseguita e scandisce tutti i movimenti monitorando qualunque
spostamento e scandendo e richiamando qualunque ritardo, dal controllo dei
clienti, dall’impossibilità di avere altri impegni se non trovando un sostituto senza
il quale pagare una onerosa multa.

L’operaio quando si presenta sul mercato, vende, come tutti, la sua merce che, nel suo
caso, è la forza lavoro. Chi la compra la vuole tutta per sé, dimenticando che l’operaio
ha bisogno di tempo, non solo per soddisfare i suoi bisogni fisici, ma soprattutto per la
soddisfazione dei suoi bisogni intellettuali e sociali, la cui estensione e il suo numero
sono determinati dallo stato generale della civiltà. Ma siccome per il capitalista il
tempo del lavoro appartiene unicamente all’autovalorizzazione del capitale, il tempo
per una educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale, per l’adempimento
di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero gioco delle energie vitali e
mentali, perfino il tempo festivo domenicale, per il capitale, nel suo smisurato e cieco

impulso, nella sua voracità da lupo mannaro, queste esigenze sono puri e semplici
fronzoli.
( Karl Marx, Il Capitale)
Ken Loach non esita a seguire in modo minuzioso le condizioni di vita di quel
lavoratore contemporaneo che in assenza del cliente al quale consegnare il pacco,
lascia il biglietto: “SORRY we missed you”, e per questo non verrà pagato.
Ken Loach non dimentica di fotografare una realtà che si reca radicalmente oltre
l’alienazione lavorativa per la quale si lottava nel post dopo guerra. Nella
condizione attuale questi lavoratori non hanno nessuno contro cui lottare,
esercitare i propri diritti, rivendicare condizioni dignitose, aspirare a una vita che
conservi anche il minimo dettaglio umano.
Il nucleo famigliare di Ricky e Abby, nonostante gli sforzi e le speranze, vive
risucchiato in un vortice che non concede spazi emotivi, affettivi alla famiglia; il
rientro a casa si limita alle poche ore per dormire.
La lunga catena di film necessari alla quale il percorso artistico di Loach e Laverty
ci hanno educato si ripresenta in questo ultimo in tutta la più assoluta
contemporaneità: quella del modello economico basato sul lavoro accessorio della
gig economy; quello dei lavoratori autonomi o a chiamata dalle agenzie, con la
conseguente precarietà dell’impiego e dei rischi che ne conseguono sulla vita
professionale e privata.
Un film che rende inevitabilmente più difficile e meno indifferente al cliente la
necessità di fare acquisti online: assistere a quella tecnologia così “sofisticata”, data
in comodato d’uso al lavoratore, che detta i percorsi, consente al cliente di sapere
esattamente dove si trova la spedizione che ha ordinato, il suo presunto orario di
consegna che deve essere esatta se si è pagato un extra, mentre il cliente più o
meno consapevolmente non è minimante informato dei ritmi ai quali sottopone il
forzato della consegna.
L’apoteosi dello sfruttamento! Uno strumento che controlla un uomo nel
disinteresse più totale delle più elementari esigenze fisiologiche…
Nella antica Grecia si sacrificavano gli animali per conquistare la benevolenza degli
dei; oggi si sacrificano gli uomini per assecondare la follia del mercato che lusinga i
clienti rendendoli a loro volta vittime e carnefici.
Ricky vive l’alienazione delle rate, dei rischi che corre ogni giorno di essere
aggredito e dover pagare le spese, di perdere il posto di lavoro, di soddisfare le
esigenze dettate da una tecnologia che non contempla imprevisti.
Abby lo sfruttamento di chi lavora 12/14 ore al giorno ma viene pagata solo per il
tempo effettivo e programmato ossia 6/7 ore, al minimo della paga. Pur essendo
una splendida moglie e madre incorre nella difficoltà di prendersi cura dei propri
figli trovandosi costretta a dar loro istruzioni per telefono.

Lavora per un’agenzia e il lavoro degli assistenti domiciliari viene appaltato dai
comuni ad agenzie esterne o a case di cura private che ottengono i contratti perché
praticano prezzi più bassi.
Loach e Laverty non mancano di aprire squarci umanistici esplicitamente comici
come ad esempio l’accesa discussione tra Ricky e un grassoccio cliente, unico
episodio di rivalità calcistica che sembra metterli sullo stesso piano!
Abby si trova difronte alle foto di caffè collettivi di un’anziana durante lo sciopero
dei minatori del 1984: lo sciopero, uno strumento escluso da qualunque fantasia
dei nostri protagonisti!
Mercato, consumo, sfruttamento, precarietà, controllo.
Ken Loach si conferma il ritrattista più efficace del mondo operaio; in tutti questi
anni ha lavorato, interpretato, raccontato, filmato il percorso della dissolvenza del
lavoro.
La sua è stata la cronaca di una morte annunciata: quella dei perversi meccanismi
del lavoro che prevede l’umano come un accessorio tecnico di una
macchina/mercato inconoscibile, astratta e feroce che ha un’unica finalità
irrazionale e quindi un esclusivo misero effetto: il profitto.
Infatti non ritrae il fallimento dell’economia di mercato, al quale non interessa la
nostra qualità della vita, ma la logica evoluzione del mercato, conseguenza della
concorrenza selvaggia a ridurre i costi e ottimizzare i profitti.
Quel denaro che aveva liberato i servi dai signori, oggi è il fine ultimo, generatore
simbolico di tutti i valori: le persone sono considerate esclusivamente in quanto
produttori e consumatori, annodati in un circolo vizioso estremo per cui se non si
consuma non si produce e se non si produce crescono la disoccupazione e la
povertà in generale. Siamo pertanto tutti “invitati” ad un consumo forzato, dettato
dal bisogno indotto: e per questo il padre mercato ci “omaggia” della nostra
consegna quotidiana.
Il capitalismo è sopravvissuto al comunismo. Bene. Ora il capitalismo divora sé stesso.
(Charles Bukowski)



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