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Beatrice Bianchini
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NOCTURAMA (‘130) (2016)

beatrice bianchini
Pubblicato da in 2016 ·
Di Bertand Bonello
Con Manal Issa, Hamza Meziani, Vincent Rottiers, Finnegan Oldfield

Parigi contemporanea.
Stazioni della metro.
Ragazzi anonimi, sguardi fissi, inespressivi, inquieti, cupi, muti.
Si aggregano e disgregano come cellule impazzite, mentre gettano cellulari con i quali hanno fotografato spazi comuni.
Si parla di HSBC e della riduzione drastica del personale; di Nixon, di Pinochet e di Rivoluzione Francese mentre suona la grande sinfonia funebre e trionfale di Berlioz.
Uno studente ha appuntamento con un ministro che manda i saluti al padre; una ragazza si dedica alla doratura della statua di Giovanna D’arco, un altro apre auto davanti alla Borsa di Parigi e ivi si accomoda per qualche minuto; altri si dividono i piani del grattacielo de La Defense.
Un banchiere è stato freddato da Greg, ma anche Fred, uno di loro è stato ucciso da un collega.
Il semtex fa saltare tutte queste postazioni, mentre loro convergono in serata verso un grande magazzino di lusso.
Qui tutto è pianificato, eliminata la sicurezza, disinnescate le videocamere e programmata la permanenza fino alla mattina successiva quando si farà ritorno a casa.
Le TV del mall di lusso mostrano le prime immagini degli attentati ancora non rivendicati da nessuno.
I ragazzi si aggirano storditi, in stato confusionale tra sentimenti di angoscia, tentativi di sottrarsi alla loro stessa presenza, attraverso giochi di musica, di cibo, di vita e di morte in un ambiente nel quale il brand più estremo firma l’ostentazione materiale capitalistica.
Mentre i simboli del potere politico e finanziario sono stati attaccati, il centro commerciale diventa la loro casa per una notte, una casa tutt’altro che sobria nella quale si cantano in tono grottesco i versi gotici, funebri e struggenti di MY WAY.
Alcuni di loro, sono ancora molto determinati e lucidi; sembrano immuni dai dubbi che “ hanno sputato di fronte alle storie di chi si inginocchia”; altri sentono l’odore della morte.
Alcuni cercano di giustificare le loro azioni rivendicando l’epicità del proprio operato: d’altronde anche gli asini in Iraq si rifiutavano di percorrere i campi pieni di mine, per questo i bambini erano stati adoperati come alternativa.
I terroristi che avrebbero compiuto questi atti devono essere considerati NEMICI PUBBLICI, recitano gli ultimi comunicati della TV; pertanto la qualificazione identitaria di tali criminali diviene simbolo di una contrapposizione frontale all’ordinamento giuridico-politico costituito.
Questo legittima il diritto a considerare non più come persona ma come mera fonte di pericolo il nemico assoluto, l’INIUSTUS HOSTIS, che va pertanto neutralizzato in nome della sicurezza collettiva attraverso misure di eccezione.
Ecco l’eccezionalità del risvolto che prende questo film: l’obbligo morale risiede nella ineluttabilità della reazione.
Occorre bollare la parte avversa come criminale e disumana, come un NON-valore assoluto; la logica di valore e disvalore dispiega tutta la sua devastatrice consequenzialità e obbliga a creare sempre nuove e più profonde discriminazioni, criminalizzazioni e svalorizzazioni fino all’annientamento di ogni vita indegna di esistere.
Questo legittima qualunque reazione onorandola e celebrandola non solo come buona e giusta ma soprattutto ponendola su un piano metavaloriale.
Pertanto la domanda non sarà più il perché, il cosa, può essere stato il movente genealogico di qualunque presunto attacco al potere ma solo la risposta determinerà l’eliminazione dell’imbarazzo della domanda così pretestuosa e insopportabilmente faziosa.
Ecco perché questi ragazzi così ingenuamente criminali, vittime carnefici di un sistema fagocitante scelgono come temporanea dimora un centro commerciale nel quale divengono merce senza brand, pertanto puro feticismo di aspetti valoriali dettati da quel profitto che si approfitta di rivendicazioni da usare a proprio vantaggio.
Il film non è stato ammesso al festival di Cannes e non ha ricevuto riconoscimenti neanche dall’economia della distribuzione.
Se il “mostro” è in casa e il nemico in patria allora il meccanismo di rimozione è l’unica salvezza.
Il film svela, con sofisticato mistero artistico, che tutti i valori sono regolati dal mercato mascherato da entità metafisica invisibile che incide pesantemente sulle vite senza che la più organizzata ribellione lo scalfisca minimamente.
Anzi, l’esito è quello della strumentalizzazione della pseudoribellione: la globalizzazione assorbe in sé nelle maglie dell’economia anche la nostalgica lotta tra il servo e il padrone che non hanno più modo di contrastarsi ma solo di allearsi per stare su quel mercato che ormai nessuno contesta più come fosse legge di natura.
Essere è troppo complicato, sebbene vi siano sporadici tentativi, e l’azione epica che questi ragazzi immaginano confusamente di aver compiuto evidenzia la loro “esposizione”, il loro “essere posti fuori”, ossia il fatto che la loro identità non gli appartenga perché è in un altro posto, in ciò che si vedrà e si dirà o non si dirà di loro.
Ciò che sembra possederli è la violenza come urlo scellerato di identità di fronte all’insostenibile anonimato: tale scelta o tentativo di ribellione non si rivela altro che la più accurata espropriazione della propria identità; una alienazione radicale che ha perso ogni traccia di sé.
Una rappresentazione violenta dell’attuale industria “culturale”; un inquietante affresco della nostra contemporaneità.

“Dove andiamo?” chiede Kerouac in ON THE ROAD.
“Non lo so, ma dobbiamo andare”




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Ideato e realizzato da Sandro Alongi
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