di Andrea Segre
E quando lasciamo Venezia scopriamo che i nostri orologi hanno problemi a tornare di nuovo al tempo reale.
Un appello al padre Veneziano
Venezia pre e post turistica
La Venezia di Segre che non l’ha mai capita come non ha mai capito il silenzio del padre
Un parallelismo sofferto tra una città malata e offesa e un padre malato e morto
Una città deserta che si riappropria di se
Un padre chimico fisico che studiava le molecole e che amava Camus,
soprattutto Lo Straniero, che aveva letto più volte per sottolineare
la nostra estraneità al mondo e al destino, sempre nel tentativo di dare una regola,
sebbene impossibile, al caso.
Un citta, in balia dell’acqua, che nutre e corrode, che la rende unica e mortale.
Una città che non risponde alle domande, come il padre, perché non si può
rispondere a domande che non consentono repliche.
La laguna è un luogo chiuso e protetto da cui sono partiti mercanti ed esploratori;
perché parlarne, perché il caso ha voluto che si girasse un altro documentario,
non progettato, non pensato, ma accaduto.
La solitudine di un uomo senza risposte di una città avvolta e immersa nei fumi dell’acqua.
Venezia; beltà lusingatrice e ambigua – racconto di fate e insieme trappola per i forestieri.
Un arte mai fine a se stessa per Segre: l’estetica è tale se basa le sue fondamenta sull’etica,
fondamenta precarie come quelle di Venezia ma pur sempre fondamenta, come quelle
degli Incurabili dove era ubicato l”ospedale dei malati di peste in virtù della quale fu eretta
la basilica di Santa Maria della Salute.
Quella salute messa dura prova dalla pandemia del 2020 in tutto in mondo e in
questa questa città che è mondo.
Il mondo dell’arte, della vita e della morte, della impossibilità di comprendere
tutto ciò che non rientra nei limiti della comprensione.