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Beatrice Bianchini
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LIBERI DI CORRERE (’90)

beatrice bianchini
Pubblicato da in 2020 ·
di Pierre Morath

Correre un’ora al giorno e garantirmi così un intervallo di
silenzio tutto mio, è indispensabile alla mia salute mentale.
(Haruki Murakami)
Jogging deriva dall’inglese TO JOG, ossia andare avanti a balzi e
si ritiene che correre a un ritmo superiore ai sei minuti per
chilometro si sta facendo jogging.
IL jogging non è sempre esistito e mentre i tapis roulant si
usavano per punire i carcerati, quei pochi che correvano nelle
strade e nei parchi venivano perlopiù considerati fuori di testa
e alcuni addirittura multati dalla polizia per uso improprio del
marciapiede.
Poi dagli anni ’60 qualcuno ha inventato questo sport e questa
è la storia documentata della nascita della cultura di una
attività all’insegna della libertà.
Sei tu infatti che decidi, sei libero con l’universo, nessuno ti
dice cosa devi fare.
Ma era esclusiva maschile, le donne non potevano correre, in
sede olimpica al max 800 metri. Si riteneva infatti che
correndo si poteva staccare l’utero, diventare sterili,
sarebbero cresciuti i peli sul petto e si sarebbe persa la grazia.
Solo Catherine Switzler, con il padre che la incitava a correre
ed allenarsi riesce ad entrare nella squadra di atletica leggera
riesce ad iscriversi alla maratona di Boston del 1967
eludendo il divieto di partecipazione imposto alle donne:
l'atleta, infatti, si registrò come K.V. Switzer, indicando, cioè, le
sole iniziali del nome e del secondo nome. Ottenne il pettorale
numero 261.
Una volta avvedutisi del fatto, i giudici di gara cercarono di
impedirle la continuazione, strattonandola per costringerla a
uscire fuori dalla pista a tre chilometri dalla partenza. La
Switzer, tuttavia, riuscì a resistere al tentativo di esclusione
(aiutata dal suo fidanzato, anche lui iscritto alla competizione,
che la protesse dall'aggressione) e portò a termine la gara nel
tempo di 4 ore e 20 minuti.
Fu proprio la reazione violenta degli organizzatori a suscitare
un movimento di opinione che portò all'apertura
della maratona di Boston  alle donne nel 1972 , mentre l'anno
prima, nel 1971, le maratonete erano già state ammesse
alla competizione di New York.
Dopo l'exploit di Boston, Kathrine Switzer si è impegnata in
modo attivo per promuovere la partecipazione femminile alle
maratone organizzate in vari paesi del mondo. Lei stessa ha
preso parte a oltre trenta di tali competizioni, riuscendo anche
a vincere la Maratona di New York nel 1974.
La crescita del movimento atletico della maratona femminile
ha poi portato alla successiva introduzione tra le specialità
olimpiche nel 1984, in occasione delle Olimpiadi di Los
Angeles.
Il documentario narra anche la storia della nascita della
rivista Spiridon negli anni ’70, una pubblicazione determinata
dalla necessità di amici, patiti di atletica e di corsa che
volevano condividere passioni sportive e soprattutto corse
podistiche popolari.
Una rivista all’insegna dell’etica della natura, dei diritti delle
donne e di uno sport libero e anarchico, che non riconoscerà
più la sua funzione quando entrerà nel tentacolare mondo del
business.
Figure come Frank Shorter e Fred Lebow che veniva dal
mondo della moda diventano i joggers che corrono nelle
strade di New York per dare speranza ad un paese vicino alla
bancarotta, siamo nel 1976 e l’America stata vivendo
un’importante crisi. Steve Prefontaine, un fuoriclasse della
pista riesce a detenere tutti i record continuando tuttavia a
vivere in una roulotte perché non guadagnava nulla
nonostante gli altri intorno a lui ottenessero proventi
colossali. Inizia da indossare le sneakers di una piccola
azienda di soli 15 dipendenti: la Nike.
Un ribelle, costui, che lotta per i diritti degli atleti e la loro
indipendenza dalle federazioni, definito lo James Dean della
corsa, muore a 24 anni in un incidente stradale.
Il documentario non esita a raccontare la pratica del
sottobanco e quindi denuncia l’ipocrisia delle Federazioni che
Frank Lebow denuncia con un libro che gli costa molto caro.
E se le donne negli anni ’80 acquisiscono il diritto di correre
sebbene in numero ristretto, un marchio decide per una corsa
riservata alle donne, la Women Race, nonostante tutti i
pregiudizi.
Le donne poverissime del terzo mondo capivano cosa
significava avere l’accesso al coraggio e alla emancipazione e si
apriva a loro la possibilità delle olimpiadi.
Joan Benoit vince al medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1984 a
Los Angeles, anno in cui la maratona femminile fu introdotta
per la prima volta alle Olimpiadi.
Si arriva fino a 34 milioni di americani che fanno jogging e
questo produce una circolazione spaventosa di denaro
compreso il turismo della maratona in tutto il mondo.
E quello sport nato all’insegna della libertà e della gratuità
arriva a muovere centinaia di milioni di dollari tanto da
determinare la necessità di uno show che dovrebbe essere
garantito nonostante tutti e nonostante tutto come l’uragano
Sandy del novembre 2012.
E’ così che da quella necessità di svolgere un’attività libera
all’aria aperta il documentario denuncia il lato oscuro di una
pratica delle classi più abbienti inglobata nel circolo vizioso
del business.
Pierre Morath, appassionato corridore, riesce a dipanare la
matassa di una attività nata durante gli anni della
contestazione come simbolo di libertà, per diventare il centro
gravitazionale di una colossale industria di federazioni,
marchi, riviste, integratori, turismo sportivo.
La sua capacità di fare di questo fenomeno il riflesso di una
trasformazione sociale radicale è il grande merito di questo
regista; dalla conquista dei diritti che ha determinato, dagli
innumerevoli sacrifici che ha visto compiersi, alle glorie, ai
riconoscimenti, ai mutamenti sociali, culturali, politici fino alla
analisi del mercato che tutto questo ha inevitabilmente
determinato.
Negli affari, se continui a correre, la concorrenza ti morde, se
resti fermo, ti inghiotte.
(William Knudsen)



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Ideato e realizzato da Sandro Alongi
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