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Beatrice Bianchini
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FAITH (’93)

beatrice bianchini
Pubblicato da in 2020 ·
di Valentina Pedicini

Tutti là dentro si erano dimenticati
che in qualche parte del mondo
esistevano fiori, case allegre e ospitali.
Tutto là dentro era una rinuncia
ma per chi, per quale misterioso bene?

DINO BUZZATI
Il deserto dei Tartari

Così apre il suo documentario la regista, con un punto di domanda e
prosegue con le seguenti informazioni:

nel 1998 un Maestro di kung fu consacra corpo e anima alla lotta
contro i Demoni.
Recluta giovani campioni di arti marziali per combattere il Male.
Li battezza come Monaci Guerrieri e Madri Guardiane.
Sceglie l’Eletta, che porterà Luce nel mondo e fonda un Monastero a
sua difesa.

I “Guerrieri della Luce” forgiati da venti anni di disciplina e
meditazione,
senza alcun contatto fisico ed emotivo con il mondo esterno, sono oggi
un piccolo esercito in attesa della battaglia finale.

Nel nome del Padre.

Una musica techno catartica apre la prima immagine del docu/film
mentre i corpi dei guerrieri della luce si dimenano
bacchicamente al ritmo.
Il Padre Nostro li accompagna quotidianamente mentre le tonache e i
capelli sono in stile monaco buddista; un sincretismo sui generis,
ritratto in un sofisticato bianco/nero accompagna le riprese della
quotidianità dei guerrieri.
Circa 15 ore al giorno per 4 mesi, racconta la Pedicini, ritornata sul
luogo dopo un cortometraggio girato 11 anni prima.

Da 22 anni sulle colline marchigiane si è formata una comunità che ad
oggi vede la presenza di 20 persone e due bambini nati all’interno
della stessa realtà. Tosati anch’essi dei capelli come gli adulti crescono
in un contesto rigorosamente estraneo al mondo esterno nel quale una
ferrea istruzione alimentare, fisica e psicologica imprime una
disciplina che ha il fine di ricondurre la Luce e combattere il Male
attraverso la fede cristiana.

Il Maestro “conduce le danze” sfrenate, gli allenamenti violenti e le
sedute motivazionali per spingere al superamento dei propri limiti.
Non è dato sapere molto dal docu/film, né se e come si provveda alla
sopravvivenza economica dei guerrieri né se e come sia prevista una
relazione col mondo esterno, che sia ad esempio l’espletamento dei
propri doveri in quanto cittadini.

Il colore è bandito dalla comunità, il b/n radicale della fotografia ritrae
il manicheismo delle scelte che non prevedono sfumature tonali; si
leccano i piatti alla fine del pasto frugale perché il corpo è esaltato
nelle forme ma umiliato negli impulsi: il fine della vittoria su di essi
che sono il Male va combattuto fino alla paranoia dell’autocorrezione
e del sacrificio estremo per sconfiggere ogni tentazione di ritorno ad
una realtà contaminata e malvagia.

Il ritratto discreto della regia tuttavia non può filtrare la violenza di
una realtà che irrompe rovesciando una serie infinita di domande.
Se “l’avalutatività è la precondizione dialettica della difesa della
ragione dalle sue perversioni” come diceva Max Weber, le perversioni
sono la precondizione dialettica dell’implicazione della ragione nei
giudizi di valore.

L’estetica senza etica è cosmetica…




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